La sindrome dell’impostore come opportunità di crescita professionale, per non indulgere nell’autocommiserazione e tenersi lontani dal comfort food.
Alzi la mano chi, tra i liberi professionisti, non è mai stato vittima della sindrome dell’impostore. Ne vedo pochine anche da qui perché quando si svolge un’attività in proprio talvolta si va in crisi e si ritiene di non essere bravi a sufficienza e di ingannare il proprio pubblico.
IMPOSTORE CHI?
La sindrome dell’impostore in realtà coinvolge anche le persone che svolgono un’attività professionale da dipendente. Il fenomeno venne studiato e teorizzato da due psicologhe (Pauline Clance e Suzanne Imes) nel 1978 per descrivere una condizione diffusa tra le donne di successo. Lo studio evidenziava che la maggior parte delle donne in posizioni di rilievo e che avevano ottenuto traguardi importanti pensavano di non meritarsi gli onori e i riconoscimenti ottenuti. Ritenevano di averli raggiunti come frutto del caso anziché per reali capacità. Studi successivi hanno evidenziato che ne sono colpiti anche gli uomini e oggi la fascia più coinvolta è proprio quella dei liberi professionisti.
Faccio outing e confesso che periodicamente la sindrome dell’impostore tocca anche a me. Magari in seguito a eventi professionali meno positivi del solito, dove la negatività tende a venire ingigantita e diventare predominante. Cosa faccio? Un po’ mi autocommisero ma mi tengo comunque lontana dal comfort food. Poi parto alla riscossa perché nel tempo ho imparato a farne uno spunto per capire dove e come migliorare.
IL TANGO E LA VITA
Se mi segui già da un po’ saprai che la frase “el tango es como la vida misma” mi è stata più volte di ispirazione. Nel modo di vivere il tango c’è molto della vita quotidiana. A un certo punto, ballando capita di non riuscire più a fare quanto veniva bene solo il giorno prima e di sentire due zoccoli caprini al posto dei piedi. Nell’esperienza del ballare ho imparato che quelli sono i momenti di reale crescita e progressione. Fare uno o più passi indietro, e lo sconforto che ne deriva, impongono una riflessione sul problema e sul proprio stato. Richiedono un’analisi sincera e distante da emotività per capire cosa funziona ancora e cosa invece deve essere cambiato. Non è facile e non è semplice, ma è un’opportunità che viene data per crescere e magari cambiare in meglio. E allora anche la sindrome dell’impostore diventa un alleato per il nostro essere e per il business.
Sia chiaro, non aspetto la crisi derivante dalla sindrome dell’impostore con ansia e trepidazione, ma ho imparato che può essermi utile nella mia attività di fotografa ed è un modo per mettermi alla prova e tentare di superarmi, di andare avanti. Tu come la vivi?
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