Con l’avvento dei social network i brand vivono in uno stato di perenne campagna pubblicitaria. Ecco perché avere una strategia di comunicazione, un piano editoriale e una storia da raccontare salvano dall’ansia dello spazio vuoto da riempire.
L’evoluzione
Fino a una quindicina di anni fa le campagne pubblicitarie avevano una periodicità limitata e usavano come canali di diffusione: i giornali, la radio, la tivù e le affissioni. Strutturate spesso come delle storie vicine alla quotidianità, ai sogni, ai bisogni emergenti della società, talvolta le pubblicità venivano replicate a distanza di tempo, rafforzando il concetto e il messaggio della marca. Era, e su quei media lo è tutt’ora, una comunicazione verticale (brand verso target).
In tempi più recenti questo tipo di comunicazione è stato affiancato, e a tratti soppiantato, dai social network. Lo spazio messo liberamente a disposizione di chiunque è tanto. Ciò rende i nuovi media molto attraenti come contenitore per promuoversi e quindi pubblicizzare le proprie attività imprenditoriali. Rispetto al passato, i social hanno attivato un rapporto orizzontale tra brand e pubblico. Su di essi si fa comunicazione, ma si instaura anche una relazione perché il consumatore sa di poter entrare velocemente in contatto con un’azienda attraverso: i commenti, i messaggi privati in chat, i tweet.
Per riempire lo spazio serve strategia
Lo spazio da riempire sui social è tanto ed è quotidiano. Ogni giorno è lo stesso e anzi aumenta alla nascita di nuovi network per quei brand che vogliono essere presenti ovunque con una comunicazione integrata. La velocità e la voracità dei social network implica perciò la creazione di contenuti visivi e testuali sempre nuovi, coerenti col proprio obiettivo e la propria narrazione di brand. Perché, bisogna ricordarlo: ciò che funziona per un’azienda difficilmente porta lo stesso risultato anche alle altre, benché operino nello stesso ambito.
Coi social network, il loro bisogno di contenuti, la rapidità di immissione e consumo degli stessi, la dittatura degli algoritmi, serve una soluzione che permetta di conviverci e di domarli anziché farsi sopraffare. Perché il rischio opposto è di non comunicare affatto o di farlo in modo scomposto. Quanto mai importante in questo caso è avere una strategia (più flessibile del solito nella nostra epoca) basata sull’obiettivo da raggiungere. Per farla si può prendere spunto da alcuni suggerimenti riportati in questo articolo, ovvero di:
- mostrare ai clienti, senza riserve, quale motivazione è alla base del brand;
- leggere, interpretare e applicare i feedback dei clienti;
- attivare dei focus su consumatori singoli, basati su osservazione e chiacchierata (non a questionario);
- capire i segmenti di pubblico e monitorare la loro evoluzione;
- fare dei test in tempo reale sulla creatività, per aggiustare il tiro in corsa;
- seguire le notizie di attualità per cercare di prevedere come si muoveranno le persone.
Un piano, una storia da raccontare
In tal senso e nello stato di perenne campagna pubblicitaria in cui viviamo da quasi un decennio, i brand traggono sostegno e vantaggio dall’avere un piano editoriale basato su una o più storie, reali e strutturate in modo verosimile, da raccontare al proprio pubblico. Lo storytelling diventa allora uno strumento utile della comunicazione perché:
- permette di dare continuità ai contenuti;
- consente un’omogeneità del messaggio;
- è spalmabile su più media;
- garantisce coerenza e alleggerisce dall’ansia;
- stabilisce una relazione solida col proprio pubblico.
Avere una strategia, redigere un piano editoriale, raccontare una storia, sono dei punti di forza e un segnale di sicurezza del business. In questo modo la comunicazione attiva l’attenzione del pubblico e lo coinvolge; resta impressa nella memoria delle persone che concedono al brand la loro risorsa più scarsa: il tempo. E non è roba da poco.
0 commenti
Trackback/Pingback