Il politically correct delle pubblicità può essere un boomerang per i brand: meglio un po’ di sana scorrettezza per raccontare chi si è!
Noi italiani siamo abbiamo una propensione formale verso il politically correct. In alcuni contesti sembra sia iscritto nel nostro DNA, suggellato dal detto “italiani, brava gente”. Lo si nota dalla corrente dominante di una certa cinematografia, tutta buoni propositi e grandi sentimenti. Mica come la commedia francese che riesce essere scorretta e graffiante per mostrare i vizi umani e sociali, e poi trova il punto di equilibrio nel lieto fine.
Pepsi vs Coca Cola
Anche nelle nostre pubblicità si deve essere corretti, per legge. In Italia è infatti vietata la pubblicità comparativa, che rende cattivelli coi competitor. Per pubblicità comparativa si intende “il metodo con il quale un’azienda promuove i propri prodotti confrontandoli con quelli concorrenti. Può essere di tipo implicito quando si paragona un prodotto a uno generico, quindi senza menzionare direttamente il concorrente; oppure di tipo esplicito quando si menziona il nome di un particolare concorrente sul mercato, al fine di evidenziare agli occhi del consumatore la superiorità qualitativa del prodotto offerto” (fonte: Wikipedia).
In Italia è concessa la comparazione solo se il messaggio non induce il consumatore in errore o non danneggia in modo sleale le aziende menzionate. Perciò le nostre pubblicità non potranno mai essere come quelle della ultra decennale guerra Pepsi vs Coca Cola (ricordi questo spot? Immagino di no!); ma neppure venire trasmessi gli spot creati per altri mercati dove la comparativa è ammessa.
Obiettivo: inclusività!
L’obiettivo della pubblicità e di una comunicazione politically correct è creare una società inclusiva. Alludo ovviamente alla pubblicità di marca e non alla pubblicità progresso, commissionata da un ente pubblico per sensibilizzare la popolazione su tematiche sociali, morali ed educativi come: Aids (“Se lo conosci, lo eviti”); fumo passivo (“Chi fuma avvelena anche te”); sicurezza stradale (“Correvamo troppo forte”) per citarne alcuni.
Solo che col politicamente corretto le aziende devono andare con cautela. Se non risponde davvero ai valori del brand appare evidente la retorica e l’interesse a conformarsi, anziché contribuire a un reale cambiamento sociale. È facile poi urtare la sensibilità delle persone, così una parola o un’immagine sbagliata possono scatenare una vera shit storm, con tutti i danni d’immagine che ne conseguono.
C’è scorretto e scorretto
Allora, per non essere ipocriti e/o per differenziarsi dalla massa, a volte è meglio optare per il politicamente scorretto. Sia chiaro che quanto è corretto oppure no è dato anche dai tempi in cui si vive. Alcune pubblicità del passato sarebbero oggi improponibili, esattamente come lo sono quelle attuali chiaramente sessiste. Questo tipo di pubblicità vanno evitate nel presente, ma non possono essere cancellate dal passato.
Invece attraversiamo una fase di Cancel Culture, ovvero la tendenza di cancellare contenuti del passato ritenuti eticamente sconvenienti invece di educare le persone a una fruizione consapevole e matura. La Rimozione non fa mai bene perché non è portatrice di progresso: lo diceva anche Freud che si tratta di una fuga, mentre è meglio affrontare la situazione ed elaborarla in modo critico.
Interessante è quando lo sconveniente nasce dalla creatività, facendo uscire dal coro la voce del brand e mettendoci quella punta di cinismo che gratta sulla nostra sensibilità. Ne abbiamo diversi esempi, tra cui:
Oliviero Toscani
Il fotografo milanese è stato un baluardo della pubblicità poco corretta, capace di far riflettere e pensare. Nei fab anni ’80 con Benetton come mentore, Toscani ha messo in mostra alcune realtà e le incongruenze sociali attraverso le pubblicità del brand veneto. Lo ha fatto senza esporre nessun capo di abbigliamento. Ricordiamo tutti le foto dell’angelo nero e il diavolo biondo, dei preservativi di diversi colori, i tre cuori appartenenti a “white – black – yellow”, gli abiti insanguinati durante la guerra nell’ex Jugoslavia, il bacio tra suora e prete. Immagini di shockvertising col loro carico di opportunismo, ma che raccontavano qualcosa della nostra società e delle barriere da abbattere.
FATAstica
Un altro esempio di politicamente non corretto sono le pubblicità del Buondì Motta in onda nelle scorse settimane. Col titolo “FATAstica” i tre spot sono incentrati sulla colazione golosa e leggera che non ha bisogno di magie perché la brioche è già buona di suo. Infatti la fatina che volteggia sopra il tavolo, proferendo formule inutili, viene schiacciata da uno dei presenti.
Questo ciclo di pubblicità richiama i precedenti del 2017 e 2020. Il primo era incentrato sull’asteroide (meteorite, in verità) che colpisce la mamma, il papà e il postino; il secondo, uscito in piena seconda ondata di Covid-19, porta il complottista a colazione senza citare la pandemia ma riferendosi: al calendario Maya, al terrapiattismo e alle convinzioni rettiliane.
Motta ha scelto il filone cinico, di rottura con lo stereotipo di famiglia irreale “alla Mulino Bianco”, per rilanciare un prodotto già presente sul mercato da diversi lustri. Inoltre non parla di salute, né inneggia a ingredienti particolari; si pone fuori dagli schemi sia per il contenuto che per lo stile. Sin dal principio lo scopo non è stato presentare il prodotto, ma ricordare al pubblico la sua esistenza. E nonostante le critiche (immancabili per ogni cosa), le vendite paiono dare ragione a questa scelta stilistica visto che ora il Buondì è presente nei supermercati con farciture diverse, oltre alle versioni integrale e senza lattosio. Di sicuro non una magia, ma un bel colpo da maestro!
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