La vicenda del tennista serbo Djokovic agli Open d’Australia è un perfetto caso di storytelling. Con l’eroe al contrario.
Come molti nel mese di gennaio mi sono appassionata alla vicenda di Djokovic agli Open d’Australia, seppur non segua il tennis come una fanatica sfegatata. Ho letto le notizie ogni giorno, sono andata a cercarle e mi sono dedicata anche agli approfondimenti di addetti ai lavori (tipo monitorare cosa avrebbero fatto i blasonati sponsor davanti a tanto battage mediatico). Alla fine mi sono domandata il perché di tanto interesse e le risposte che ho trovato toccano almeno tre punti.
Uno, due, tre
In primo luogo, questa del tennista numero uno al mondo è una vicenda d’attualità, inserita nel quadro della pandemia. Un tema che da due anni condiziona le nostre viste e monopolizza le discussioni. Impossibile non balzasse agli onori della cronaca e dello sdegno collettivo.
Poi riguarda il senso di giustizia. O meglio, l’accezione capovolta di tale valore leggibile come:
- senso di ingiustizia per quanti temevano l’ingresso del serbo in Australia nonostante le disposizioni governative (in Italia lo si è paragonato al Marchese del Grillo);
- senso di ingiustizia per quanti lo hanno eletto a portabandiera e quindi martire del loro pensiero (novax e no green pass).
Infine il coinvolgimento del pubblico è perché i fatti hanno assunto la forma perfetta di uno storytelling. Tragedia o commedia non sta a me definirlo. Di sicuro si è trattato di una telenovela per i colpi di scena quotidiani e le notizie che tenevano desta l’attenzione. A dimostrare che, se ben raccontata, una sequenza di fatti può diventare una storia, con tutti i personaggi al posto giusto.
“Gli eroi son tutti giovani e belli” (cit.)
Noi siamo abituati a pensare alle storie con l’eroe bello e buono che vince dopo aver superato prove e sconfitto i cattivi. E vissero tutti felici e contenti.
Ne conosciamo mille e più di storie così. Ancora non ci bastano perché abbiamo bisogno di identificarci con qualcuno di migliore di noi, capace di combattere le ingiustizie e uscirne vincitore. Però anche la letteratura, il cinema e le canzoni, come uno specchio della realtà, talvolta ci propongono storie all’incontrario dove il protagonista principale non è proprio l’eroe senza macchia. E dove i fatti narrati non permettono di schierarsi in modo inequivocabile al fianco dell’eroe perché l’opinione (e quindi il giudizio) dello spettatore punta in un’altra direzione.
I personaggi e le fasi della storia
La tentata partecipazione di Djokovic al torneo australiano è uno di questi casi: un perfetto esempio di storytelling che esce dal canone teorizzato da Propp (“Morfologia della fiaba”, 1919) e perciò suscita reazioni contrapposte. Da fazioni alla guelfi e ghibellini globali. Però gli elementi della storia ci sono tutti ed è abbastanza facile rintracciarli. Vediamoli insieme.
Se il campione serbo è il protagonista principale, l’antagonista è stato il governo australiano. Il mandante può essere identificato nell’organizzazione degli Open che è anche detentore del premio, della ricompensa finale. Gli aiutanti sono quei medici che hanno avallato lo stato di salute di Djokovic, mentre i donatori sono gli sponsor nella misura del capitale investito per foraggiare il tennista. Troviamo anche l’antieroe, che ambisce il titolo e, tra tutti i partecipanti, i complimenti vanno a Rafael Nadal per la sua straordinaria vittoria. Nel conto dei personaggi possiamo inserire anche un coro: da una parte il popolo serbo, i genitori di Djokovic e pure Ibrahimovic e dall’altra il nostro Gianrico Carofiglio che invita al boicottaggio degli sponsor.
Ma non finisce qui. A ben analizzare i fatti, nella vicenda di Djokovic si rintracciano molte fasi delle storie. Dal divieto (di entrare in Australia) all’investigazione (delle prove fornite dal serbo); dalla delazione e il tranello alla lotta tra eroe e antagonista. Fino alla vittoria finale che, in questo caso, non appartiene al protagonista principale. Ma il bello delle storie sta anche nel colpo di scena, nel conoscere le regole per trasgredirle.
La realtà supera la fantasia
Avevi visto tutta la vicenda da questa prospettiva? Te lo dico sinceramente: nel fare quest’analisi ho lasciato fuori il mio giudizio perché trovo affascinante come in certi casi i fatti reali riescano a comporsi in una sceneggiatura degna di una fiction. La realtà supera la fantasia, si dice. Secondo me ha anche il potere di rendere tutto più affascinante e meno prevedibile.
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