I festeggiamenti per i settanta anni di regno della Regina Elisabetta II sono il coronamento di un traguardo personale e la dimostrazione di un esemplare lavoro di Personal Branding.
Mentre il 2 giugno in Italia celebravamo senza troppa partecipazione il 76esimo anniversario della nostra Repubblica, nello stesso fine settimana il Regno Unito festeggiava i 70 anni di regno di Elisabetta II. Una ricorrenza spalmata su quattro giorni, le cui immagini abbiamo visto in tivù. Un record di permanenza sul trono che ha tenuto banco nei tigì e ha toccato angoli disparati del pianeta, tanto che anche un mio vicino di casa – da vero Englishman – ha appeso le bandierine della Union Jack sul balcone, mentre io ho ordinato questo orologio della Swatch [ ] con settanta pallini dorati a circondare The Queen e i suoi corgie (ho una passione per il naif, l’ho già detto!).
Inutile raccontare quanto sia stata presa in giro dallo Sposo. Lui sostiene che sotto il mio berretto giacobino si nasconda in realtà un gagliardetto monarchico, da nostalgica.
Sarà.
E forse sarà pure colpa di Lady Oscar alla Corte di Francia, che ha segnato la mia pubertà. O forse perché le figure di sovrane, da Cleopatra alla Regina di Saba, fino a Vittoria, mi interessano per il loro ruolo centrale in un mondo abituato a ragionare sempre al maschile. Perciò la Regina d’Inghilterra mi interessa come fenomeno mediatico, come icona e come brand. Perché è innegabile che lo sia.
COSE DA DONNETTE
Elisabetta II ha attraversato settant’anni di una Storia (la nostra epoca) che è corsa veloce, diventando di fatto la monarca più longeva ma anche la regnante del crollo dell’impero dove mai tramontava il sole. Un fatto che da solo può inserirla tra i peggiori sovrani della Storia intera. Invece, nonostante questo e tutto il gossip, Lady D. e la Megxit, gli anni neri della Thatcher che portarono il paese in una forte recessione e il sangue sparso per le strade dell’Irlanda del Nord, nonostante tutto questo Elisabetta II ha lavorato sul proprio Personal Branding (che è questione di Stato, sia chiaro) ed è stata capace di crearsi un’immagine positiva e ritagliarsi un posizionamento sul mercato proprio come le più famose marche internazionali.
Perciò sbaglia chi pensa che i royal affair siano una questione da donnette. Si tratta di politica ed economia, di finanza e sociologia, di costume e tendenza. La Corona inglese è un’impresa vera e propria. Del resto fu proprio il Re Giorgio IV a definire The Firm (La Ditta) tutto l’ambaradan della Corona. Così come in una scena cruciale del telefilm The Crown, il principe consorte Filippo spiega a una giovanissima Diana Spencer che ognuno di loro ha un ruolo nell’azienda di famiglia e che non possono esistere individualismi (in pubblico) perché tutti sono al servizio di un’istituzione che, con la sua presenza, fa lavorare un indotto e produce fatturato. Qui trovi un approfondimento, se ti interessa questo aspetto.
ROYAL BRANDING
La decisione di far diventare The Queen un brand è frutto di tempi recenti. Da quando l’istituzione monarchica era caduta in un abisso di scarso consenso dopo la morte di Lady Diana. Si è trattato di un processo lungo del quale cogliamo oggi i risultati e che nel Platinum Jubilee vede un congedo e una quasi la beatificazione in vita della Regina (come si evince dal ringraziamento finale dell’orsetto Paddington in questo video). Perché se mettiamo in fila gli eventi e i passi degli ultimi venticinque anni, è ben chiaro che le regole di un perfetto Personal Branding sono state rispettate e hanno avuto successo.
. Avere un obiettivo
In ogni attività di Personal Branding è importante sapere chi si è, dove si vuole arrivare e a chi rivolgersi. In tal modo si costruiscono una solida strategia di marketing e un piano di comunicazione efficace. Bisogna aver chiara la propria brand identity e renderla riconoscibile al pubblico. L’obiettivo (dello staff) della Regina è stato di rendere la Corona meno antipatica ai sudditi e al pubblico internazionale. Lo ha fatto mantenendo uno stile sobrio, assumendo anche il ruolo di icona pop (come già aveva intuito nel 1985 quel visionario di Andy Warhol immortalandola in questo ritratto).
. Essere autentici
Chi sia davvero la Regina d’Inghilterra è difficile saperlo. La conosciamo e lo intuiamo per l’immagine che ci viene resa, così coerente nel tempo da risultare autentica e creare un modello a cui ispirarsi. Basti pensare a come i suoi outfit siano stati ripresi dall’alta moda e, se non sono diventati dei must have come quelli di Kate Middleton, indicano uno stile very British ripreso dai migliori stilisti anglosassoni in questo giubileo di platino. Ma non solo: in passato la Regina ha trovato in Vivien Westwood la sua antieroina. Nominata Dama nel 1992, la stilista punk ha tratto spesso ispirazione dall’immagine della Regina per dissacrarla e ugualmente celebrarla, fino a realizzare la copertina del volume in edizione limitata dedicato alla sovrana per il Giubileo di Diamanti.
. Raccontare una storia
Lo storytelling è fondamentale. I fatti da soli non bastano, lo sappiamo già. Così serve una storia capace di coinvolgere il pubblico in modo continuativo. Una storia filtrata, anche se ogni tanto sfugge dalle maglie, e ha molteplici protagonisti o comparse, tutti investiti di un ruolo al servizio della Corona (come dicevo sopra). Sebbene l’etichetta di Corte imponga sempre un No Comment sulle vicende private diventate pubbliche, sono i film e i telefilm, i libri (eccone alcuni) e i tabloid a regalarci la storia unofficial e unauthorized a cui il pubblico si è appassionato e che, di dritto o di striscio, un po’ tutt3 conosciamo. Perché non è solo una questione anglosassone. Anche la nostra Novella 2000 dedica alla famiglia reale inglese un servizio alla settimana. Piuttosto, hai saputo che durante i festeggiamenti la Regina ha finalmente incontrato la figlia di Harry e Meghan? Quella battezzata col nome intimo usato da Filippo. Quel vezzeggiativo che dopo la nascita della bambina è stato bandito dall’elenco dei nomi da attribuire…
. Gestire le crisi
Capita a tutt3 di sbagliare. Anche a una Regina. Il fallimento è umano e avvicina agli altri. Avvicina al popolo. Alla plebe. Come si vede nel film The Queen (del 2006), il punto più basso di gradimento nell’opinione pubblica fu proprio quando la Regina attese alcuni giorni prima di esprimere pubblico cordoglio per la moglie di Lady Diana. Vi era una nazione in lutto per la prematura scomparsa della principessa del popolo e, per stabilità della monarchia, Elisabetta II dovette chinare il capo e rendere omaggio a colei che, più di tutti, ha scosso l’istituzione reale inglese. Il fallimento in quell’occasione fu lampante e correggere un errore in corsa, gestendo così la crisi, significa aver superato una prova.
. Generare un impatto positivo
L’opinione pubblica favorevole è importante perché è parte del business. Pensiamo ai royal souvenir che si trovano nei negozi di tutta Londra e in buona parte d’Inghilterra. Alle tazze e ai piatti, ai bicchieri e agli strofinacci, alle penne e i block notes. Solo quelli fruttano fior fior di sterline (in epoca precovid era così) e presto sapremo i dati di questo Giubileo. Poi lo ammetto: nell’ultimo viaggio a Londra, nel 2019, sotto il Tower Bridge, ho comprato la miniatura della Regina che saluta, azionata dai raggi solari. Salvo poi scoprire che era in vendita pure da dmail in Piazza Castello a Torino: potere della globalizzazione e del fatto che La Betta sia diventata un’icona globale.
. Lasciare un’eredità positiva
Settant’anni di regno sono senz’altro un lascito per gli annali, un segno lungo e tangibile nel tempo. Di fatto la Regina, con la sua longevità e la voglia di battere tale record, ha stabilizzato l’immagine della Corona e preparato il passaggio a una monarchia borghese. Se poi vogliamo allargare lo sguardo, gli ultimi giubilei sono stati contrassegnati da opere urbanistiche (pagati dalla collettività, ma a cui la Corona porta dei ricavi) dal ponte sul Tamigi alla nuova linea Elizabeth della metropolitana londinese, le cui stazioni accolgono opere d’arte.
I CAN’T WAIT
Insomma: (lo staff di) Elisabetta II ha realizzato un vero capolavoro di Personal Branding, che innegabilmente ha dato ottimi risultati. Nel frattempo attendo il mio orologio, sul quale l’abito cambia colore ogni giorno, da vera Regina del Pantone (come è stato decretato da più parti ed è diventato realtà grazie a un’idea condivisa con l’agenzia Leo Burnett.
Appena arriva faccio unboxing e lo pubblico su Instagram. Potere del marketing, di cui tutt3 siamo vittime!
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