Mercoledì Addams, la serie cult di questo fine d’anno ci svela il conformismo dietro la parvenza di integrazione. Suggellato dallo spot di un pandoro che la cita e ribadisce il concetto.
La scorsa estate, l’educatrice cinofila del villaggio dove abbiamo trascorso le vacanze, aveva ribattezzato Nara col soprannome di Mercoledì. Un po’ per le lunghe orecchie nere paragonabili alle trecce del personaggio inventato da Charles Addams, un po’ per come schifa gli umani e per il suo essere bisbetica quando un altro cane le si avvicina e non ha voglia. Una vera sociopatica, insomma!
Patchwork
Era agosto e già si parlava della serie di Netflix che porta il blasone di Tim Burton alla regia (dei primi quattro episodi). Così, avendo una Mercoledì in casa e memore del telefilm cult in bianco e nero degli anni ’60, non ho potuto esimermi dal vedere questa nuova versione incentrata sulla bambina più caustica della tivù.
E mi è piaciuta. Sì.
Ma anche no.
Nel senso che mi è piaciuta mentre la guardavo e ho pure ridacchiato alle battute più acide; ma una volta finita mi si è riproposta con un retrogusto meno gradevole. La sensazione è infatti di aver guardato un patchwork di cose già viste altrove. Qualche esempio:
- la gara di canoe? Harry Potter e la gara di quidditch;
- le visioni di Mercoledì? Undici in Stranger Things;
- l’adolescente investigatrice? Veronica Mars!
- la visione unilaterale del mondo senza pensare alle conseguenze e alle ripercussioni sul prossimo? Il Magico Mondo di Ameliè nella sua totalità;
- i combattimenti? Matrix e che altro, sennò?
- il tanto osannato balletto (amato dalle tiktoker, influencer, celeb di tutto il mondo)? Pulp Fiction, chetelodicoafare!
Una domanda, due risposte
E poi c’è una domanda che mi frulla in testa: come fa un personaggio sociopatico come Mercoledì a diventare la ragazzina più cool e ambita della scuola? È brava in ogni cosa (ok); sfida l’ape regina delle studentesse per spodestarla (ok); ha il fascino del dark side (ok), ma nella vita vera starebbe ai margini anche nella comunità più inclusiva immaginabile.
Allora mi sono data due risposte:
prima – se si fosse troppo aderenti alla realtà non ci sarebbe stata la storia e neppure questa serie;
seconda – anche se sei strambo/a puoi essere accettato/a dal gruppo di pari fino a diventare la reginetta del ballo grazie a un processo di normalizzazione camuffato da accettazione della diversità.
Ma soprattutto da questa serie mi aspettavo più parodia della società (come era nelle intenzioni di Charles Addams quando creò i personaggi e produsse le strisce dei disegni alla fine degli anni ’30) e meno sentimentalismo. O forse perché i buoni sentimenti sotto Natale mi paiono più adatti alle pubblicità di panettoni e pandori.
A Natale puoi
Non per niente quando ho visto lo spot del pandoro Bauli ho pensato fosse la pubblicità di Mercoledì, per poi capire l’errore alle prime note del jingle dell’azienda veronese. Ma se lo hai visto, avrai notato anche tu la citazione al telefilm.
La protagonista è una ragazzina emo e di nero vestita, che – paradosso – si chiama Bianca ed è molto somigliante a Mercoledì Addams. Controvoglia va a comprare il pandoro per la gioia del fratellino e sull’autobus deve pure beccarsi una sorta di body shaming da parte di un gruppetto di pari. Il clou è raggiunto al pranzo di Natale, quando le viene regalato un maglioncino dello stesso rosa del brand (e uguale a quello indossato dalla madre) e la sua espressione di felicità è paragonabile a quella di un cactus al Polo Nord.
Ma anche per lei c’è speranza, e la conversione alla letizia avviene quando il fratellino (candido e irriducibile) le porge una confezione di pandoro da lui colorata di nero. Lei si commuove e subito arriva l’armonia dello spirito natalizio.
Più punk per tutti
Però il pandoro è lo stesso, lo hai visto? Cioè: non è una versione al cioccolato fondente o col cacao al posto dello zucchero a velo. E proprio uguale al solito dolce. Ma allora: che senso ha se non trovare anche qui il conformismo, l’omologazione, la normalizzazione camuffata da inclusione? Non vengono incentivate le differenze. O meglio: vengono considerate solo attraverso il packaging, che è soprattutto apparenza; la sostanza è riportata sullo stesso piano della maggioranza, comoda e confortante.
Boh! Al posto di Bianca avrei optato per una reazione punk. Ma allora lo spot non ci sarebbe stato, perché il senso della storia è un altro e l’armonia deve piovere come lo zucchero servendoci il solito Natale.
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