Il reportage fotografico

Il reportage è tra i generi fotografici più amati dai fotografi, col quale molti professionisti si cimentano nella loro carriera. Il motivo è semplice: il reportage fotografico permette di confrontarsi con la vita, di coglierne diversi aspetti e raccontarli secondo una propria logica. Da un punto di vista socio-antropologico il reportage fotografico è il genere che meglio rappresenta la realtà, immortalata tal quale per restituirla al pubblico. La sua realizzazione, per quanto appaia semplice, è invece complessa perché richiede di entrare nel vivo di una situazione e conoscerla ancor prima di iniziare a fotografare. Per questo il reportage sembra un genere fotografico accessibile a tutti, mentre lo è per quei pochi che hanno davvero voglia di scrivere una storia attraverso le immagini.

COS’È IL REPORTAGE FOTOGRAFICO

Il termine reportage, inteso come articolo giornalistico, è un termine francese coniato per indicare una testimonianza diretta. Nell’accezione italiana, il reportage ha assunto un ulteriore significato e definisce l’indagine e l’analisi della realtà, di un luogo o di un ambiente.

Il reportage fotografico ne è la naturale evoluzione e ha come data formale di nascita il 1948. In quell’anno fu pubblicato sulla rivista Life il lavoro di William Eugene Smith su un medico condotto della provincia americana. Ha avuto così origine una piccola rivoluzione dell’informazione ed è stato così definito quel tipo di fotografia che documenta e illustra una precisa situazione a un pubblico.

Lo scopo del reportage fotografico è infatti individuare una condizione particolare, strutturarla come una storia senza alterarla e raccontarla attraverso una galleria di immagini significative. Le foto devono essere collegate tra loro da un fil rouge che mantiene il flusso narrativo e permette al pubblico di leggerla e comprenderla.

Il reportage fotografico è storicamente usato in ambito giornalistico per rappresentare circostanze particolari come guerre, cataclismi ed eventi significativi (ma non perciò di connotazione negativa). Questo genere fotografico è evoluto nel tempo e trova oggi applicazioni in ambiti diversi, senza aver perso la propria identità. Diventando, a modo suo, una sorta di fotografia documentaristica che spazia dal matrimonio alla preparazione dell’albero di Natale coi bambini, dal viaggio alla testimonianza delle fasi di lavoro e della vita imprenditoriale di un brand.

COME SI REALIZZA IL REPORTAGE FOTOGRAFICO

Realizzare un reportage non significa soltanto scattare fotografie. Anzi, questa parte del lavoro arriva in coda a un’approfondita e articolata attività di ricerca e documentazione sul tema scelto.

Definire un tema.

Infatti la prima cosa da fare è definire un argomento sul quale porre l’attenzione e costruire la storia fotografica del reportage. Il tema talvolta si presenta casualmente e accende la curiosità del fotoreporter, altre volte è qualcosa che si conosce e desidera approfondire per condividerlo, altre ancora arriva attraverso una commissione esterna. In ogni caso, l’approccio al reportage fotografico non cambia la sostanza del suo svolgimento.

Documentarsi.

È bene non dare per scontata la conoscenza dell’argomento e comunque documentarsi. Man mano che si legge e studia l’argomento, si effettuano i sopralluoghi, ci si ferma a guardare, ascoltare e sentire, è opportuno porsi anche delle domande, così da circoscrivere e chiarire quale aspetto dell’argomento si intende documentare. Ove possibile è bene parlare anche con le persone coinvolte direttamente o indirettamente. La loro testimonianza è un punto di vista interno che offre spunti inediti e particolari, capaci anche di condizionare, se non stravolgere la prospettiva del reportage fotografico.

Scrivere un progetto.

Le informazioni così collezionate vengono tradotte in un progetto fotografico. I professionisti lo mettono per iscritto e definiscono quali immagini vogliono realizzare, quali sono le situazioni fondamentali da rilevare, gli aspetti che concorrono alla composizione coerente e leggibile della storia. Diventa utile trovare un protagonista, che è l’elemento fondamentale di ogni narrazione. Può essere una persona, oppure un luogo, o ancora un evento. Dipende dal taglio che si vuole dare al reportage e dal punto di vista adottato.

La pianificazione.

Ci si rende così conto di un fatto saliente: la fotografia di reportage richiede una pianificazione vera e propria, intrecciando tempi, luoghi, persone ed eventi. A seconda della pianificazione, la realizzazione di un reportage fotografico può richiedere un arco temporale di diversa durata per la sua realizzazione. Ve ne sono alcuni che impegnano il professionista per anni, con continui aggiornamenti, mentre altri si svolgono in poche ma determinanti ore.

Lo stile personale.

Non fermarsi mai alla superficie e scendere in profondità significa anche ricercare la propria prospettiva e portare una visione personale, se non inedita, dell’argomento anche quando è già stato trattato da altri, magari più volte. Essendo la fotografia una forma di scrittura e avendo una sua semantica, ogni fotografo realizza i propri scatti con uno stile personale che si sviluppa nel tempo e si acquisisce attraverso la pratica, non solo fotografica. Una cifra riconoscibile e concentrata più sul contenuto che sulla forma estetica. Conta in primo luogo ciò che viene raccolto e rappresentato in modo estemporaneo: perfetto nella sua unicità e imperfetto di per sé. Solo in questo modo le immagini saranno vive e creeranno empatia in chi le guarda. Allo stesso tempo è fondamentale mantenere un atteggiamento etico verso il soggetto fotografato, per una questione di rispetto, assenza di giudizio e pulizia morale.

Lo shooting.

Dopo aver studiato e composto il progetto arriva quindi il momento della fotografia. Di andare in loco e scattare prestando attenzione alle situazioni. Come titolo generale, è bene iniziare a fotografare solo quando la propria presenza è diventata parte integrante del contesto. La presenza del fotografo documentarista non deve essere invasiva. Il professionista è sempre un testimone non partecipante, che vive da esterno, senza condizionare la situazione o interferire con lo svolgersi degli eventi. E anche se vi è un piano fotografico, bisogna esser pronti all’imprevisto. Conviene mantenere l’elasticità e un’attenzione viva per quanto accade attorno, verso quelle situazioni non previste ma comunque funzionali alla storia. In questi casi si può, si deve tralasciare il piano e dedicarvisi, documentando con la fotografia. Può tornare utile per rilevare nuovi aspetti e dare maggiore incisività al reportage.

La selezione delle foto.

Nonostante la facilità con cui oggi si scattano migliaia di fotografie, il reportage si snoda attraverso un numero contenuto di immagini. La fase della loro selezione è fondamentale quanto le precedenti. Implica scegliere gli scatti giusti, ragionando in modo analitico. Per effettuare una scelta corretta è utile sapere che ciascuna foto deve essere legata alle altre e la regola vuole che l’immagine successiva aggiunga qualcosa alla precedente. Allo stesso tempo ogni foto è autonoma poiché non si tratta di un fotoromanzo. Come ben sa chi realizza reportage fotografici, l’immagine di apertura racchiude lo spirito di tutto il lavoro, oltre a essere il volano per proseguire nella visione. Così, se la prima foto ha il compito di emozionare, il contenuto delle successive porta a riflettere: ogni scatto, coerente nel complesso del reportage, accresce la conoscenza rispetto al precedente.

QUALE ATTREZZATURA USARE PER IL REPORTAGE FOTOGRAFICO

Sul web si leggono tanti consigli su quale attrezzatura usare per il reportage fotografico. Se utilizzare una reflex oppure una mirrorless; se scegliere un’ottica fissa oppure una variabile.

Robert Capa sosteneva che se le foto non sono abbastanza buone è perché non si è abbastanza vicini. Oggi nel reportage fotografico è molto utilizzato il teleobiettivo perché consente di fissare una scena senza avvicinarsi e quindi correre il rischio di inquinarla. Dal mio punto di vista l’attrezzatura è una scelta individuale, dettata dalle abitudini e dal tipo di reportage. Con la consapevolezza che all’interno dello stesso lavoro si possono utilizzare strumenti diversi a seconda delle situazioni e del risultato auspicato.

Entrando nello specifico, vediamo i pro e i contro dei diversi corpi macchina, delle ottiche e di alcuni accessori fotografici.

Corpo macchina – Reflex.

Che sia a formato intero o mezzo formato, la reflex rimane la principale scelta per quanti realizzano servizi fotografici in generale. Inoltre, se come sosteneva Marshall McLuhan “Il mezzo è il messaggio”, avere tra le mani una reflex connota il professionista agli occhi degli altri. Questo a prescindere dalla qualità delle fotografie, che possono essere pessime seppur l’alta qualità del mezzo. Infatti le ultime generazioni di corpi macchina reflex hanno raggiunto alti standard tecnologici e ottime prestazioni che assicurano un buon risultato formale. Ma restano sempre voluminose e ingombranti, perciò si notano anche da lontano e diventano pesanti da portare dopo molte ore.

Corpo macchina – Mirrorless.

Come dice il nome, queste macchine fotografiche sono prive dello specchio su cui si riflette l’immagine da imprimere. Per questo motivo sono più leggere e, in molti casi, di dimensioni inferiori a una reflex. Se ciò le rende più pratiche, dall’altra il loro peso contenuto mal bilancia quello dell’ottica che, a seconda dei casi, può essere ben più pesante e compromettere la maneggevolezza dello strumento.

Corpo macchina – Smartphone.

Per quanto possa sembrare un’eresia, alcuni reporter e fotografi documentaristici hanno realizzato i loro lavori con questo strumento. Un po’ per necessità, un po’ per sfizio. Certamente l’utilizzo è immediato e non richiede grosso spazio o fatica nel portarlo. Per quanto lo smartphone sia decantato nelle pubblicità come la nuova frontiera della fotografia e la qualità tecnica delle immagini sia di alto livello, il rischio dello scatto compulsivo è maggiore rispetto a reflex e mirrorless. Inoltre cambiare le modalità di ripresa (da ritratto a paesaggio, per dire) richiede del tempo che rischia di far perdere la situazione da riprendere. Come per le macchine fotografiche: bisogna saperlo usare e non improvvisare.

Ottica fissa.

Scegliere un’ottica fissa significa decidere la distanza dalla scena. Una distanza che per il fotografo deve essere naturale, quasi l’ottica fosse parte integrante dell’occhio e del suo modo di guardare il mondo. Questo perché a volte un’ottica fissa può essere eccessiva e altre volte risultare stretta, obbligando a tagli fotografici. Oppure a muoversi nella scena per ottenere la giusta inquadratura, perdendo l’attimo perfetto o inquinando lo svolgimento dei fatti.

Ottica variabile.

Grandangolo o teleobiettivo, l’ottica variabile consente al reporter di avvicinarsi e allontanarsi dalla scena senza muoversi. Per la fotografia documentaristica è l’ideale. La comodità va però a discapito della luminosità e quindi della qualità dell’immagine, anche se possono venir compensate dalle prestazioni del corpo macchina oppure spendendo cifre ragguardevoli per un’ottica variabile con focale fissa.

Accessori – Flash.

Le macchine fotografiche di ultima generazione sostengono bene la rumorosità, come le vecchie pellicole ad alti ISO. Questo rende il flash un accessorio spesso inutile nella fotografia documentaristica. Inoltre il suo bagliore irrompe nella scena, modificandola esteticamente da una parte, arrecando disturbo e distogliendo i protagonisti dall’altra. Il suo uso va quindi pianificato a progetto, definendo quali scatti lo richiedono.

Accessori – Cavalletto.

L’idea del reportage è di una fotografia di movimento e il cavalletto sembra stonare nell’immediatezza del momento colto al volo. In realtà vi sono alcune parti del reportage che richiedono l’appoggio fisso della macchina fotografica, per consentire magari lunghi tempi di esposizione e creare un effetto mosso, oppure per ottenere una maggiore definizione. Scomodo da portare, anche in questo caso il suo uso va pianificato.

Accessori – Filtri.

Oltre al polarizzatore, che serve per eliminare i riflessi indesiderati, i filtri fotografici possono accrescere di pathos una scena. Basti pensare all’effetto infrarosso oppure rendere l’acqua setosa e le nuvole filanti con il filtro ND. Anche in questo caso, l’uso dei filtri dipende dal tipo di reportage, dallo stile del fotografo, dal risultato auspicato nel complesso. Un’unica foto “filtrata” è fuori luogo; troppe immagini rischiano di essere ridondanti. Serve cognizione e moderazione nell’utilizzo.

Raccomandazione finale

È cosa buona portare con sé altre schede SD (o rullini se si scatta in analogico), nel caso quella in uso si riempisse o smettesse di registrare le fotografie. Non capita, ma a volte capita. Lo stesso vale anche per le batterie di scorta, da avere cariche e con un caricabatterie a portata di mano (ancora meglio se con diverse opzioni di ricarica).

Le possibilità per l’attrezzatura sono molteplici e tutte valide allo stesso modo. La scelta è davvero parte integrante dello stile e del linguaggio del reporter, del fotografo documentarista. Del modo tutto personale di scrivere con la luce e raccontare una, tante storie.

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